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L'Età dell'Innocenza

USA col 126'

Regia: Martin Scorsese

Sceneggiatura: Joy Cocks e Martin Scorsese

Fotografia: Michael Ballaus

Scenografia: Donata Ferretti

Costumi. Gabriella Pescucci

Musica Elmer Bernstein

Montaggio: Thelma Schoonmaker

Le sequenze floreali dei titoli di testa sono di Elaine e Saul Bas

La voce narrante nella versione originale è di Jonne Wodward

Interpreti:

Daniel Day Lewis: Newland Archer

Winona Ryder: May Welland

Michelle Pfeiffer: Ellen Olenska

Geraldine Chaplin: signora Welland

Miriam Margolyes: signora Mingott

Richard E. Grant: Larry Lefferts

Alec Mc Cowen: Sillerton Jackson

 

Soggetto

Il film racconta la storia di un amore impossibile sullo sfondo dell'alta società newyorchese del 1870, dove ogni gesto si compie nel rispetto delle convenzioni, regolato da un formalismo esasperato che informa di sé anche la più banale quotidianità. Per il giovane protagonista Newland Archer, brillante avvocato, una vita del genere potrebbe, tutto sommato, andare bene. Fidanzato alla bella May Welland (Winona Ryder), accolto e benvoluto nei salotti che contano, Newland sa di avere spianata la strada verso il successo. Ma qualcosa sta per accadere, un piccolo fatto che rischia d'infrangere molti equilibri. Dall'Europa è appena ritornata la contessa Olenska (Michelle Pfeiffer) cugina di May, reduce da un matrimonio sfortunato, una donna dal fascino irresistibile con la quale però, può essere molto sconveniente farsi vedere in giro. Infatti la cena data in suo onore dalla signora Mingott (nonna di Ellen e May) viene disertata. Il colpo è insospettato anche perché i Welland e i Mingott occupano un posto di prestigio nella New York che conta. Newland Archer, come fidanzato di May, interviene presso i propri cugini: i Von de Lyden che della società newyorchese piramidale occupano la sommità. La contessa Olenska viene finalmente accettata da tutti grazie alla cena che proprio i Van de Leyden, daranno in suo onore e che nessuno diserterà. Newland intanto ha modo di frequentare la contessa anzi, in qualità di avvocato, su richiesta della famiglia di questa che vuole evitare a tutti i costi uno scandalo, convince Ellen a non divorziare. Questa frequentazione per Newland è fatale: si scopre irriducibilmente attratto da Ellen che impersona una visione dell'esistenza che dà via libera all'estro e alla gioia di vivere. Anche lui si scopre insofferente delle convenzioni e delle ipocrisie, ma non ha sufficiente coraggio per rompere con gli schemi acquisiti né, d'altra parte, quelli che ha intorno gli permetterebbero di uscirne impunemente. Spaventato da questa passione fa in modo di accelerare i tempi del matrimonio. Molti mesi dopo le nozze Newland rivede Ellen e sente di esserne perdutamente innamorato.

La sua battaglia è però persa in partenza. Nell'ombra, le famiglie  che reggono la rigida struttura della società, già tutto sanno e tutto hanno predisposto perché non accada lo scandalo. Al momento opportuno sanno come intervenire salvando l'irrinunciabile rispettabilità delle persone coinvolte. Il film è tratto dal romanzo di Edith Warton  che ha sempre saputo tessere convincimenti, analisi critiche del costume americano, un costume che era anche il suo, ma con il quale ebbe modo di misurarsi dopo avere assimilato i più evoluti modelli europei. Ne "L'Età dell'Innocenza" che nel 1920 le valse il premio Pulitzer, la scrittrice racconta la storia di un amore irrealizzato "senza rancore e con un velo poetico di lontananza" capace però di fare risaltare il suo istinto di protesta contro le convenzioni borghesi. Martin Scorsese ha portato sullo schermo questo romanzo rispettandone profondamente la lettura e lo spirito. Il film rispetto alla sua filmografia è solo in apparenza "diverso". Il regista non rinuncia affatto a due perni centrali della sua ispirazione: l'analisi di un gruppo sociale e la città di New York, in più si serve della letteratura per comporre una rispettosa sinfonia di immagini mantenendo anche lui "quel velo", rileggendo nel romanzo i motivi della lotta tra il singolo e la comunità che lo circonda, tra l'impulso libertario e le regole soffocanti del gruppo. Non c'è qui l'esplosione della violenza metropolitana con relativo spargimento di sangue, ma c'è, più sottile e perfida, l'esplosione dell'eleganza vittoriana, che trasforma gli oggetti di scena in agenti stessi della tragedia. Nel recuperare i suoi temi preferiti in un territorio da lui sinora inesplorato, non dimentica la dimensione umana dei suoi personaggi; egli li tiene sotto controllo, li analizza nell'intimo delle loro contraddizioni e delle loro frustrazioni. Continuando a scomporre la luce ingannevole di un mondo che ha perduto la sua innocenza nell'accumulo di "Status Simbol", dichiara , a ogni inquadratura, la sua simpatia senza riserve per la contessa Olenska. Ellen è vittima di un "American Dream" (sogno americano che sembra non essere mai cominciato…….New York è un labirinto…..Non c'è mai uno che piange qui…confida a Newland. Eppure Ellen è nella luce: ora nel bianco incandescente che sale da un palcoscenico e che la invade, ora nell'oro accecante del sole che si specchia nel mare. Il giovane Archer la vede come una promessa trasparente, come un aldilà della penombra, del grigio della vita.

La scena del film è doppia in senso forte: divisa tra New York e Londra, tra Washington e Parigi. Il vecchio e il nuovo mondo si specchiano l'uno nell'altro, si confrontano, si sovrappongono. Le austere, acide, insopportabili atmosfere delle grandi famiglie della costa occidentale dell'Atlantico sono lo stantio che trionfa nel luogo che dovrebbe essere dell'innocenza, nella terra che dovrebbe essere fuori dalla colpa storica della vecchia Europa. E' doppio anche Newland: preso ora dentro l'anima fredda e vuota dell'alta società cui senza speranza appartiene, ora teso verso una libertà che non conosce, egli passa attraverso il film come se non fosse più che spettatore, passa attraverso la sua vita come se non avesse il diritto di farla sua, una vita costretta non solo, ma anche falsa. Quando il figlio gli rivela che la madre prima di morire, gli aveva raccontato di come aveva rinunciato ad Ellen quando lei glielo aveva chiesto più che replicare Newland risponde smarrito "non me l'ha mai chiesto".

Questa tematica della solitudine, della vita falsa, dell'incapsulamento si traduce nelle scelte della stessa drammatizzazione e i titoli di testa che sono molto più di un semplice artificio visivo, diventano parte integrante del tessuto narrativo. La metafora dei boccioli di rosa che si schiudono sempre più velocemente e, in dissolvenza, arrivano a coprire tutto lo schermo. Li vediamo attraverso uno strato di merletto ricamato, dapprima appena impercettibile, poi pienamente rivelato nella sua tessitura che filtra l'immagine sottostante, un terzo strato sovrapposto è dato dalle righe di grafia vittoriana. Il tentativo, indubbiamente riuscito, è quello di proiettare l'atmosfera romantica del periodo ottocentesco sotto una nuova angolazione che ne illuminasse i codici di comportamento nascosti e la sensualità rimossa e sommersa. Significativa è la stessa scelta quasi ossessiva della voce narrante che impassibile invade le immagini, scandisce la successione degli eventi tracciando la vita di Newland come una "storia già scritta ". Lo stesso piegarsi alle costrizioni si esprime in Archer, nel suo parlare e muoversi come "trattenuto", obbligato a non oltrepassare limiti invisibili, ma  ben codificati. E ancora tutto questo essere trattenuto "incapsulato" "sballottato da eventi e regole è sottolineato dal rallentatore come è evidenziato nell'inquadratura della massa in cui è intruppato anche Archer. Tutti uomini che si tengono il cappello nel vento e che sono spinti nella stessa direzione. Basterebbe che Newland facesse un cenno ad Ellen immersa nell'oro accecante del sole per conquistare la sua libertà,  libertà che è vinta dalla prevedibilità per sempre ancorata nell'acqua grigia di vecchi parti. Diviso tra chiarore e penombra tuttavia c'è per Scorsese un luogo immaginario del desiderio, una nuova terra della libertà e qui siamo di nuovo alla luce, al riflesso improvviso che trent'anni dopo illumina Newland. Dietro quel vetro c'è Ellen e ancora Newland si allontana da lei portandosi, ora, però quella sua luce negli occhi.

Martin Scorsese

E' nato a Flusing, New York il 17 novembre 1942 e dopo avere seriamente considerato di farsi prete, (entrò nel seminario nel 1956) decise di dedicarsi al cinema.

Nel 1966 si laureò alla New York University, specializzandosi in cinematografia. Ha cominciato a lavorare molto presto e, nel corso della sua prestigiosa carriera, si è confermato una delle voci più geniali del cinema americano. La sua filmografia è fatta di film acri e incalzanti, in particolare il suo stile prevede: ambientazioni newyorchesi, personaggi solitari che combattono con i propri demoni interiori e un'implacabile violenza catartica. Quando fu presentato nel 1993 a Venezia, L'Età dell'Innocenza sembrava una deviazione dai contesti che siamo soliti vederlo praticare. Ma Scorsese non si rinnega, non esce, se non per la diversa confusione, dal seminato, ma recupera i suoi temi preferiti in un territorio da lui sinora inesplorato. Tra i suoi film migliori ricordiamo: "Mean Strcets", "Alice non abita più qui", "Taxi Driver", "Il colore dei soldi", "Quei bravi ragazzi" ecc..

 

 

Edith Wharton

Edith Newbald Jones nacque a New York nel 1862 da un'antica famiglia americana. Crebbe perciò nella società aristocratica di cui i genitori erano esponenti, attaccata anche lei ai valori di un passato che il presente affarista smantellava giorno dopo giorno pur essendovi geneticamente legato. Si segnalò come un'osservatrice disincantata della decadenza di un mondo che era anche il suo, come una cronista spietata per umorismo satirico, capace di trasformare l'immagine della New York della "Gilden Age", e del trapasso fra Ottocento e Novecento in quella di una necropoli ormai impossibilitata a sopravvivere a se stessa. A questa dimensione sociale, ampia, della sua scrittura se ne intrecciava un'altra più privata e personale, che era anche il riflesso d'una vita sentimentale complessa e tormentata. Si era infatti sposata nel 1885 con Edward Wharton, un rappresentante della buona società di Boston, dal quale però divorziò. Questa dimensione fortemente, anche se non sempre esplicitamente, autobiografica della Wharton, segna una svolta nella narrativa femminile di quegli anni. Svolta che sta quasi a indicare una nuova conquistata consapevolezza e sicurezza che permette ormai alla donna artista di esprimersi senza necessariamente ricorrere a filtri o strategie di dissimulazione. Ciò non toglie che buona parte della sua opera ruoti poi, in modo significativo, intorno alle acute contraddizioni che si sprigionano dall'incontro - scontro tra individualità femminile carica di tensioni emotive ed espressive, e un microcosmo che in tanto si regge e si protegge in quanto quelle tensioni nega e tiene a freno.

La sua produzione letteraria conta, nell'insieme, qualcosa come una cinquantina di opere. Dopo alcune prove vicine al saggio di costume e alla narrazione di viaggi, dopo racconti, alcuni dei quali, non a caso, incentrati sul tema del divorzio, la Wharton esordì nel romanzo (1905) con "La casa della gioia" dove narra l'intramontabile discesa di una giovane donna dell'Alta Società resa incapace di seguire desideri e inclinazioni. Seguiranno altri racconti, la novella Etham Frome nella quale sottolinea i rigori dello spirito puritano, The Custom of the Contry, forse la sua opera migliore che torna sul tema della dislocazione sociale e culturale tipica di un'epoca di trapasso non ancora conclusa, "Summer" che fa del calore estivo una metafora, "L'usanza del paese", "L'Età dell'Innocenza" e infine "Autobiografia" (1934). C'è da sottolineare che la Wharton, nella sua lunga vita ha frequentato i migliori salotti letterari dove ha stretto sincere amicizie con alcuni dei più prestigiosi nomi del tempo tra cui Henry Jones. E' stata una delle prime donne a ricevere la laurea ad honorem dell'Università di Harvard e a far parte dell'accademia americana delle arti.

E' grazie anche alla sua affermazione, se negli anni successivi alla Prima Guerra mondiale, tra sperimentazioni moderniste e rivisitazioni critiche del passato, che la scrittura femminile è andata sempre più sviluppandosi.

 

 

Vanna Peronace

 

 

Soverato, 15 gennaio 1999

 

 
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